I bambini ci guardano

Leggo sempre volentieri la mia amica Costanza Miriano, ma questo articolo, tratto dal suo blog, mi è talmente piaciuto che ho pensato di ripubblicarlo qui

di Costanza Miriano

Dunque, fatemi capire se ho capito bene.

Secondo la vulgata, i bambini devono essere lasciati liberi, ma come diciamo noi. Quindi per cominciare i loro sentimenti vanno anestetizzati. Che siano liberi da comandi repressivi, però, per cortesia, che non siano molesti, non conoscano dunque né il vuoto né la noia (e per questo tra tempo pieno a scuola e impegni pomeridiani le loro vite sono ferocemente organizzate). Devono esprimersi liberamente, ma sempre sotto il controllo di un adulto.

Non possono arrabbiarsi se i genitori, per esempio, si separano. Non possono essere tristi, depressi, disperati. Non devono provare rancore se i genitori partono alla ricerca di se stessi. Insomma possono essere come vogliono, a patto che siano come vogliamo noi. Questo più o meno il messaggio che arriva ai bambini sfogliando i giornali, o, anche, in libreria la maggior parte dei libri scritti per loro ai giorni nostri, come per esempio Diverso come uguale, di Luana Vergari, casa editrice Becco Giallo, che recita esattamente così: “Tony ha una stanza fichissima nella sua casa numero 2, dove abitano i suoi 2 papà. Tanto tempo fa il papà n. 1 di Tony e sua mamma erano sposati, ma poi hanno deciso che era meglio se s’innamoravano di altre persone. Allora il papà n.1 di Tony si è innamorato di Raul che è anche lui maschio, ed è diventato il suo papà n.2. La mamma di Tony non si sa, ma se si innamora di un maschio anche lei allora Tony ha anche il papà n.3!” Tutto ciò è illustrato con disegni che tentano di essere allegri, a colori disperatamente sgargianti. (Gli errori grammaticali, fatti immagino per rendere più amichevole il testo, sono nell’originale).

Anche questa per me è violenza sui bambini. Vuoi fare i tuoi comodi, senza curarti delle conseguenze che questo avrà su tuo figlio, o almeno non lasciandoti fermare da questa preoccupazione? Non gli togliere, almeno il diritto, di odiarti, di pensare che questo non è “fichissimo”, non cercare di convincerlo che ha un papà numero due o numero tre, perché lui sa e saprà sempre che ne ha solo uno, e senza numero. Lasciagli il diritto di essere arrabbiato, e disperato. Lasciagli desiderare disperatamente che i suoi genitori stiano insieme. Lasciagli odiare il “nuovo compagno” di mamma e papà.

Un’amica mi ha detto che ha conosciuto una neuropsichiatra infantile chiamata sempre più spesso dalle maestre a cui i bambini dicono “voglio morire”. E il problema, dice lei, sono sempre più spesso le famiglie allargate, questi ogm descritti dalla tv, dal cinema, da tutti come situazioni allegre e piene di simpatiche novità. Come se non sapessero che invece vanno a toccare quanto ogni bambino ha di più sacro, gli archetipi più profondi, quello che un giorno contribuirà a determinarne l’identità in modo incancellabile.

Ieri sera ho imprudentemente letto alle mie figlie un libretto che non avevo ispezionato prima. Si chiama La principessa della luna, di Francesca Lazzarato. La copertina diceva che era per lettori di 5-6 anni, i bei disegni mi hanno ingannata, e quindi mi sono trovata alle prese con una principessa alata che viene dalla luna. Sposa un contadino, hanno una bambina. Lui le nasconde il vestito ma un giorno lei lo ritrova, prende in braccio la sua bambina e vola via, perché certo, chiosa l’autrice, sapeva che prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa sua. Il contadino era troppo pesante, non poteva portarlo con sé.

Immagino che questo sia un altro dei libri pensati per far entrare nell’inconscio dei bambini l’idea che i genitori a un certo punto debbano inseguire il loro destino, a qualsiasi costo. Le mie bambine, comunque, alla fine si sono molto divertite, perché quando ho visto la mala parata ho cominciato a usare il libretto come carta igienica, fazzoletto da naso, filo interdentale, bastoncino per le orecchie, ed è finita che si sono ribaltate sul letto dalle risate, cosa che ha rallentato l’addormentamento, ma ha insegnato che i libri si possono leggere criticamente, e anche strappare e buttare nel secchio.

Genitori senza regole e senza comandamenti, poi, producono figli ingovernabili. Deve essere per questo che ha preso così tanto piede l’insana, folle, inspiegabile, assurda piaga degli animatori delle feste per bambini. Soggetti che indossano un microfono appeso all’orecchio, e urlano “tutti su, tutti giù, lanciate in aria i pallonciniiiii” come dei pazzi, con la musica – rigorosamente orribile – a tutto volume (c’è una infallibile corrispondenza tra la bruttezza della musica e il volume a cui viene lanciata). Qualche giorno fa, credo per la prima volta in vita mia, me ne sono andata da una festa, accogliendo di buon grado la richiesta delle bambine, che odiano come me gli animatori e la confusione insensata. Eravamo andate per conoscere le amichette e le mamme della prima elementare, ma sommerse dal rumore e dai palloncini sponsorizzati dal centro commerciale era impossibile anche dire “piacere mi chiamo Costanza”.

Mi chiedo perché questo succeda sempre più spesso. Non me lo spiego. Io faccio feste a casa al termine delle quali ci vuole non l’animatore, ma casomai il rianimatore. Perché i genitori pensano che i loro bambini non possano semplicemente stare insieme nella stessa stanza senza essere intruppati e organizzati? Cos’è questo horror vacui? Non sanno che alla fine si organizzano? Chiacchierano. Iniziano a giocare con il nulla, anche che ne so con le bottiglie della Coca Cola vuote, con i tovagliolini di carta (ottimi per vestire i peluche), con le lattine usate come birilli. Si inventano dei giochi meravigliosi se noi ci fidiamo della loro intelligenza.

Dopo la festa ho chiamato la mamma che l’aveva generosamente organizzata, per scusarmi di essermene andata (avrei detto che avrei aderito all’iniziativa della prima festa della nuova classe solo a patto che, appunto, non ci fosse l’animatore). E lei ha ribadito che sopra un certo numero è impensabile fare a meno dell’opera del soggetto col microfono all’orecchio, perché altrimenti i bambini cominciano a tirare le sedie e rovesciare i tavoli. Eppure lì, in quella sala, nel pomeriggio, era pieno di genitori. Seduti, mentre l’animatore urlava come un forsennato. E mi chiedo: ma non siamo capaci di chiedere niente a questi bambini? Nessuna frustrazione, nessun comando, nessuna regola? Ci fidiamo così poco di loro? Abbiamo una meta così bassa per loro? O forse il problema è che è bassa la nostra, di meta?

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